Cassazione n. 35962/2021: Responsabilità solidale retributiva e contributiva negli appalti
Con sentenza n. 35962/2021 la Cassazione si è pronunciata in materia di solidarietà contributiva nell’ambito del contratto di appalto.
La vicenda traeva origine dalla domanda proposta da un subappaltatore che aveva convenuto in giudizio l’appaltatore al fine di ottenere il pagamento del corrispettivo per dei lavori eseguiti in forza di contratto di subappalto. L’appaltatore costituendosi in giudizio aveva dedotto ed eccepito che l’omesso pagamento era dovuto alla mancata prova della regolarità contributiva dei propri dipendenti invocando il D.L. n. 223 del 2006, art. 35 comma 29 convertito con L. n. 248 del 2006 nonché il D. Lgs. n. 276 del 2003. Sia il Giudice di primo grado che quello di gravame avevano rigettato la domanda del subappaltatore affermando che la regola della responsabilità solidale invocata a giustificazione dell’eccezione di inadempimento trovasse fondamento comunque nell’art. 1676 c.c., alla stregua del quale il (sub)committente e il (sub)appaltatore sono obbligati in solido senza limiti temporali.
La Corte ha affermato che in tema di contratto di appalto, a mente dell’art. 1676 c.c. (norma che prevede che “Coloro che, alle dipendenze dell’appaltatore, hanno dato la loro attività per eseguire l’opera o per prestare il servizio possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda”), in tanto può essere esperita l’azione diretta, in quanto il committente sia ancora debitore dell’appaltatore.
Ove il subcommittente provveda ad estinguere il suo debito nei confronti del subappaltatore, resta preclusa, ai sensi dell’art. 1676 c.c., la possibilità per i dipendenti del subappaltatore di poter rivolgere le loro pretese per i crediti scaturenti dalle prestazioni rese in favore del subappaltatore verso il subcommittente.
Quindi, “il committente rimane obbligato solo se c’è un debito e non ha ancora pagato l’appaltatore, di talché non va incontro ad alcuna effettiva responsabilità, in quanto l’eventuale pagamento in favore del lavoratore comporterebbe l’estinzione del corrispondente debito verso l’appaltatore”.
Sulla scorta di ciò, è stato quindi affermato il seguente principio di diritto: “in caso di subappalto, il subcommittente non può eccepire, a fronte della richiesta di versamento del corrispettivo del contratto, l’inadempimento del subappaltatore correlato alla possibilità dell’azione diretta nei suoi confronti dei dipendenti e degli ausiliari del subappaltatore, in quanto la norma di cui all’art. 1676 c.c. presuppone che la responsabilità del subcommittente operi nei limiti di quanto ancora dovuto al subappaltatore, e ciò in considerazione che, una volta versato il corrispettivo del contratto, viene meno anche la detta responsabilità solidale”.
Chiarito ciò, la Corte si è soffermata sull’altra norma che potrebbe legittimare l’eccezione di inadempimento, ossia l’art. 29 del D. Lgs. n. 276/2003. Tale norma prevede la responsabilità solidale dell’appaltatore e del committente (nonché del subappaltatore e del subcommittente) senza il limite posto dall’art. 1676 c.c., della persistenza di ragioni di debito del subcommittente verso il subappaltatore (“in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché’ con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché’ i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento”).
Trattasi di norma che “amplia la tutela in favore di lavoratori addetti ad un appalto rispetto a quella stabilita dal codice civile”.
La Corte precisa però che “le azioni esperibili ai sensi dell’art. 1676 c.c. e D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, hanno ambiti applicativi distinti, per cui è opinione consolidata quella secondo la quale le due norme coesistano, nel senso che quando il lavoratore non possa invocare la garanzia di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, potrebbe agire ai sensi dell’art. 1676 c.c. sussistendone i requisiti, ma mantengono una distinta sfera di applicazione e possono essere cumulate nello stesso processo”.
L’art. 29 cit. da un lato non richiede come presupposto l’esistenza del debito nei confronti dell’appaltatore quindi il committente, potenzialmente, rimane obbligato rischiando di pagare due volte, ma dall’altro prevede un termine di decadenza di due anni che inizia a decorrere dalla cessazione dell’appalto (sul punto la Corte sottolinea che è irrilevante la data di cessazione del rapporto di lavoro, ovvero la circostanza che il rapporto di lavoro eventualmente prosegua con diversi committenti, in quanto ciò che rileva è unicamente la cessazione del rapporto di appalto tra committente ed appaltatore, nel cui corso di svolgimento è maturato il relativo credito).
Quindi, “L’eccezione inadempimento da parte del committente (ovvero del subcommittente) adducendo la propria eventuale corresponsabilità solidale per crediti lavorativi o previdenziali conseguenti alle prestazioni svolte dagli ausiliari dell’appaltatore ovvero del subappaltatore ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, non può essere accolta ove, per i crediti lavorativi sia decorso il termine di decadenza applicabile ratione temporis, e ove, per i crediti previdenziali, sia maturato il termine prescrizionale del versamento dei contributi, senza che siano state avanzate richieste di pagamento da parte degli eventuali creditori”.