Corte costituzionale: Legittima la limitazione delle riserve al 20% prevista dall’art. 240-bis, comma 1, D.lgs. 163/2006
Con sentenza n. 109 del 27/05/2021 la Corte costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Lecco in relazione all’art. 240-bis, comma 1, del d.lgs. n. 163/2006 (vecchio Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture che trova ancora applicazione in molti contratti pubblici soggetti alla precedente normativa che sono oggi ancora in esecuzione), modificato dal d.l. 70/2011, nella parte in cui prevede che «[l]’importo complessivo delle riserve non può in ogni caso essere superiore al venti per cento dell’importo contrattuale».
La Corte costituzionale ha ritenuto corretta l’interpretazione secondo cui il limite del 20% dettato riguarda l’entità delle pretese annotate che nel complesso possono essere riconosciute, interpretazione è già stata sostenuta da altri giudici di merito (si vedano Tribunale ordinario di Roma, sentenze 11 dicembre 2020, n. 17666 e 23 gennaio 2017, n. 1085; Tribunale ordinario di Milano, sentenza 25 marzo 2020, n. 2207).
«Sotto il profilo sistematico, la norma censurata si inserisce nella Parte IV del codice dei contratti pubblici, che non regola l’esecuzione dell’appalto e l’iscrizione delle riserve, bensì il «Contenzioso» e si colloca nel contesto di un articolo che disciplina – come precisa la rubrica – la «Definizione delle riserve».
Posto che la prima parte del comma 1 stabilisce che possono essere proposte, e di conseguenza potenzialmente accolte, le domande che non superino gli importi «quantificati nelle riserve stesse», è possibile affermare che «anche la seconda parte della disposizione, nel fissare la soglia, si riferisca alle riserve che possono essere proposte e potenzialmente definite, in via bonaria o giudiziale».
D’altronde, osserva la Consulta «interpretare la disposizione nel senso di escludere la possibilità di far valere le riserve iscritte oltre la soglia legale non solo si rivela asistematico, e fonte di un possibile ossimoro rispetto alle norme che impongono alle imprese appaltatrici l’onere di iscriverle per talune pretese, ma oltretutto pregiudicherebbe, in maniera irragionevole, gli interessi sopra richiamati, a partire dalla trasparenza nell’esecuzione del contratto, a beneficio della stazione appaltante. Se l’impresa appaltatrice, dopo aver annotato riserve per il venti per cento dell’importo contrattuale, perdesse automaticamente la possibilità di avanzare pretese subordinate alla loro iscrizione in riserva, non avrebbe più alcun interesse a continuare a rispettare il relativo onere (…) Per contro, ove si riferisca la soglia legale alle riserve suscettibili di accoglimento, residuerebbe in capo all’appaltatore un certo grado di aleatorietà in merito al raggiungimento del limite delle pretese liquidabili, subordinatamente all’onere delle riserve, e tale incertezza dovrebbe indurlo, prudenzialmente, a continuare ad annotarle, a tutto beneficio delle esigenze della trasparenza».
La Corte precisa che è irragionevole l’interpretazione secondo cui la norma escluderebbe la possibilità di far valere le riserve iscritte oltre tale soglia. Infatti, «selezionare le riserve ammissibili in base all’ordine della loro iscrizione vorrebbe dire negare all’impresa di poter agire in via giudiziale per dimostrare la fondatezza delle sue pretese, in ragione di una circostanza che è del tutto contingente, casuale e priva di intrinseca ragionevolezza, qual è l’ordine di annotazione delle richieste, condizionato dalla mera successione cronologica con cui si pongono i vari problemi nell’esecuzione del contratto».
L’interpretazione proposta deve tenere conto, osserva il giudice delle leggi, della non assoluta corrispondenza fra la ratio della iscrizione delle riserve e la logica che sovraintende agli adeguamenti dell’appalto, atteso che le riserve non hanno ad oggetto solo mutamenti del contratto, ma anche la contestazione di inadempienze della stazione appaltante e l’adeguamento dell’importo contrattuale in ragione di sopravvenienze è affidato ad un quadro di strumenti complesso che comprende non solo le riserve, ma anche le varianti e le compensazioni. Conseguentemente, la Corte afferma che si deve ulteriormente valutare il profilo relativo al possibile vulnus all’interesse dell’impresa appaltatrice, che intenda far valere in via giudiziale legittime pretese contrattuali, anche al di sopra del richiamato limite.
Al riguardo, la Consulta evidenzia che è opportuno tenere conto dell’estrema varietà di ipotesi per le quali lo stesso legislatore impone l’onere di iscrivere riserve e di quanto sostenuto da dottrina e giurisprudenza secondo le quali l’onere di iscrivere riserve ha una valenza generale e investe ogni pretesa di carattere economico che l’esecutore dei lavori intenda far valere nei confronti dell’amministrazione.
Dinanzi a tale quadro, la Corte rileva che i rimedi contrattuali di natura risolutoria, e le correlate azioni anche risarcitorie, non sono, in base ad un orientamento costante, subordinati al rispetto dell’onere di iscrivere riserve, per cui ove la soglia del 20% venisse superata con richieste ascrivibili a inadempimenti della Stazione Appaltante che, nel complesso, evidenziassero, da parte del committente, un inadempimento di non scarsa importanza, sarebbe certamente consentita, oltre alla risoluzione del contratto, anche l’azione risarcitoria per illecito contrattuale (Cass. civ. sez. I, sent. 5 settembre 2018, n. 21656; 3 novembre 2016, n. 22275; 17 settembre 2014, n. 19531; 11 gennaio 2006, n. 388; 4 febbraio 2000, n. 1217; 17 marzo 1982, n. 1728). Parimenti, le pretese iscritte a riserva relativamente a sopravvenienze oggettive potrebbero, nel caso concreto, dar luogo ad una risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 132 cod. contratti pubblici, così come il concorrere di plurime sopravvenienze potrebbe legittimare un’azione di risoluzione del contratto riconducibile, previa dimostrazione dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, all’art. 1467 c.c. (Cass. civ. sez. I, sent. 26 gennaio 2018, n. 2047; 18 maggio 2016, n. 10165; Cons. stato sez. IV, sent. 19 agosto 2016, n. 3653).
Premesso ciò, secondo la Consulta non si può, comunque, escludere che, in ragione della richiamata varietà di pretese soggette all’onere di iscrizione in riserva e dell’ovvia eventualità che possano sommarsi richieste eterogenee, residuino, oltre la soglia individuata dalla norma censurata, istanze legittime e, tuttavia, inidonee a fondare i richiamati rimedi contrattuali. Potrebbe trattarsi di richieste che facciano valere l’adempimento della prestazione contrattuale (e/o la relativa responsabilità) o di pretese che la legge riconosce all’appaltatore, regolando l’iscrizione di riserve in ipotesi di sopravvenienze contrattuali.
Dunque, «ove si tratti di istanze correlate con sopravvenienze di natura oggettiva, la soglia legale posta dalla disposizione censurata alla sommatoria delle riserve si traduce, evidentemente, in un ampliamento del rischio contrattuale dell’impresa, rispetto a quello che viene disegnato dalle singole disposizioni in materia di riserve. Tuttavia, ha precisato ancora la Corte, tenuto conto che le pretese sotto soglia vengono accolte, che le modifiche del contratto affidate alla tecnica delle riserve riguardano ipotesi alquanto marginali e che, comunque, il contratto si può sciogliere se si dimostra che le sopravvenienze determinano, anche nella loro globalità, una eccessiva onerosità sopravvenuta, il maggior rischio che va a gravare sull’appaltatore è tale da non palesare una irragionevolezza rispetto all’art. 41 Cost. Si tratta, infatti, di un sacrificio ragionevole nel bilanciamento con gli interessi di rango costituzionale che la norma censurata tutela».
Rispetto all’eventualità poi che l’impresa si trovi a sopportare – a causa della soglia legale censurata di cui all’art. 240-bis, comma 1, d.lgs. 163/2006 – i costi dell’inadempimento della controparte, la Corte costituzionale ha affermato che in tal caso verrebbe a delinearsi un esonero legale dalla responsabilità del committente, sia pure limitato all’inadempimento non grave che ecceda la soglia delle riserve liquidabili.
Sul punto si osserva che la qualificazione della fattispecie quale esonero legale se, per un verso, allontana lo spettro di una violazione degli artt. 3 e 24 Cost., che si avrebbe ipotizzando un mero impedimento a far valere in via giudiziale l’azione di responsabilità contrattuale, per un altro verso, proprio in quanto segnala una compressione in radice del diritto sostanziale, non è certo priva di conseguenze e di implicazioni ermeneutiche. Un esonero legale dalla responsabilità, infatti, in tanto può superare il vaglio di costituzionalità, sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto rispetti un doppio ordine di presupposti: l’idoneità a perseguire un obiettivo di utilità sociale e il carattere della proporzionalità (ex plurimis, sentenze n. 194 del 2018, n. 235 del 2014, n. 303 del 2011, n. 199 del 2005, n. 254 del 2002, n. 463 del 1997 e n. 420 del 1991). Nel caso di specie, il sacrificio per l’impresa si giustifica sulla base dei già richiamati interessi di rango costituzionale tutelati dalla norma censurata. Quanto, invece, alla proporzionalità, occorre considerare che questa Corte la esclude ove la limitazione legale si estenda all’inadempimento doloso o gravemente colposo.
Sulla base dell’interpretazione proposta, la Corte afferma che «Nella misura in cui la soglia stabilita dall’art. 240-bis, comma 1, cod. contratti pubblici può tradursi in un esonero dalla responsabilità del committente, si impone una interpretazione costituzionalmente conforme di tale previsione. Non potendo l’esonero legale estendersi, nel rispetto dei principi costituzionali, all’inadempimento doloso o gravemente colposo, la relativa azione nei confronti della stazione appaltante, pur soggetta all’onere dell’iscrizione a riserva (ex multis, Corte di cassazione, prima sezione civile, sentenze 5 agosto 2016, n. 16537; 28 gennaio 2015, n. 1619; 14 febbraio 2014, n. 3548), non deve, comunque, risentire del limite legale posto alla riconoscibilità delle pretese annotate».
Dunque «Entro la soglia del venti per cento dell’importo contrattuale, qualunque pretesa dell’appaltatore può essere riconosciuta, in via bonaria o previo accertamento giudiziale.
Oltre tale limite legale è, viceversa, certamente inibito accedere all’accordo bonario, mentre non risultano precluse azioni giudiziarie, piuttosto viene lievemente potenziato il rischio contrattuale. Infatti, per orientamento uniforme del diritto vivente, sono indifferenti all’istituto dell’iscrizione di riserve e, dunque, sono sempre ammissibili le azioni risolutorie e quelle ad esse correlate, a partire dal risarcimento del danno di cui all’art. 1453 cod. civ.
Inoltre, sulla base dell’interpretazione sopra proposta, non risente del limite legale posto dal censurato art. 240-bis, comma 1, l’azione di risarcimento del danno per inadempimento doloso o gravemente colposo della stazione appaltante, sempre che la relativa pretesa sia stata iscritta a riserva.
Per tutte le altre riserve che eccedono la soglia, la norma censurata implica: una ridefinizione del rischio oggettivo del contratto, con un suo lieve incremento, nonché un limitato esonero dalla responsabilità del committente, reso tuttavia conforme, in via ermeneutica, ai principi costituzionali».
La Consulta ha quindi dichiarato la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate.
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