Istanza di revisione prezzi: illegittimità del silenzio
Con sentenza n. 12810 del 10/10/2022 il TAR Lazio ha accertato l’illegittimità del silenzio dell’Amministrazione a fronte di un’istanza di revisione prezzi formulata dall’appaltatore.
Il Collegio ha evidenziato che “l’istituto della revisione prezzi, con le sue modifiche e integrazioni stratificatesi nel tempo, è basato su una finalità che è riconducibile alla salvaguardia dell’interesse pubblico per garantire che l’esecuzione di contratti relativi a beni e servizi in modo che questi ultimi non vengano esposti, a causa della eventuale eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni, al rischio di incompiutezza delle attività contrattualizzate. Questa condizione svolge anche una tutela nei confronti dell’esecutore al quale va riconosciuto un giusto compenso a fronte delle prestazioni fornite“.
A fronte dell’istanza di revisione dei prezzi, la condotta inerte della committente, a giudizio del TAR “si pone in contrasto con i principi di buon andamento della P.A.: il legislatore ha da tempo intrapreso la strada diretta a porre fine alla prassi negativa degli uffici di non rispondere alle istanze dei privati, obbligando i richiedenti ad agire in giudizio per il solo fine di ottenere una risposta, pur sussistendo un preciso obbligo di legge (art. 2, comma 1, l. n. 241/90) che impone di concludere il procedimento con l’adozione di un provvedimento espresso.
La giurisprudenza ha sottolineato che “In presenza di una formale istanza l’amministrazione è tenuta a concludere il procedimento anche se ritiene che la domanda sia irricevibile, inammissibile, improcedibile o infondata, non potendo rimanere inerte: il legislatore, infatti, ha imposto alla P.A. di rispondere in ogni caso (tranne i casi limite di palese pretestuosità) alle istanze dei privati nel rispetto dei principi di correttezza, buon andamento, trasparenza, consentendo alle parti di difendersi in giudizio in caso di provvedimenti lesivi dei loro interessi giuridici” (cfr. C. di St. n. 3118/2020; TAR Roma n. 1818/2022). Per tali ragioni, reputa il Collegio che deve ritenersi sussistente l’obbligo di provvedere, ai sensi dell’art. 2, l. n. 241/90.
Invero, tale previsione normativa prevede che: “Se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo.
In tal modo, il legislatore ha inteso generalizzare l’obbligo di provvedere con atto espresso, anche nelle ipotesi in cui vi siano, ictu oculi, impedimenti tali da impedire l’accoglimento dell’istanza. Ciò al fine di garantire la certezza dei tempi nell’esercizio dell’azione amministrativa, e prevenire danni correlati all’inerzia della P.A.
Il tutto sul presupposto che l’esistenza di un termine per provvedere costituisce ora, per ricevute acquisizioni giurisprudenziali, autonomo bene della vita, sul quale il privato deve poter fare ragionevole affidamento al fine di autodeterminarsi e orientare la propria attività economica.
Sulla base di ciò, la domanda di accertamento dell’obbligo di provvedere proposta dalla ricorrente è stata ritenuta fondata.