Pagamento diretto del subappaltatore (Tribunale di Reggio Emilia, sentenza n. 498/2021)
Il Tribunale di Reggio Emilia, con sentenza n. 498/2021 del 16/04/2021 ha ritenuto fondata la pretesa del subappaltatore che aveva agito nei confronti della stazione appaltante per ottenere il pagamento diretto del corrispettivo che gli era dovuto per l’avvenuta esecuzione delle opere affidategli.
Nel caso di specie, la stazione appaltante (AUSL) aveva affidato mediante gara pubblica la realizzazione di una Casa della Salute ad una società che a sua volta, a seguito di espressa autorizzazione della stazione appaltante, aveva subappaltato a norma dell’art. 118 D.Lgs n. 163/2006 la fornitura e montaggio della struttura prefabbricata dell’edificio. La AUSL aveva altresì espressamente autorizzato l’inserimento nel contratto di subappalto di una clausola che prevedeva il pagamento diretto in favore dell’appaltatore da parte di essa stazione appaltante.
Ultimati i lavori ad essa affidati, l’impresa subappaltatrice ne aveva dato comunicazione all’appaltatore ed alla stazione appaltante, la quale rilasciava lo stato di consistenza finale delle opere. Poco dopo, l’AUSL aveva deliberato l’immediata risoluzione del contratto d’appalto per grave inadempimento e grave ritardo dell’appaltatrice, ai sensi dell’art. 136, comma 4, d.lgs. 163/2006, che successivamente veniva dichiarata fallita.
La subappaltatrice chiedeva ed otteneva quindi decreto ingiuntivo nei confronti della stazione appaltante AUSL a titolo di corrispettivo del subappalto, deducendo, a sostegno della domanda, la sussistenza dell’obbligo di pagamento diretto a favore di essa subappaltatrice, assistito, tra l’altro, da un riconoscimento di debito.
All’esito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il Tribunale di Reggio Emilia ha ritenuto legittima la pretesa creditoria del subappaltatore.
L’art. 118 d.lgs. 163/2006, integrato dal d.l. 145/2013, ha premesso il Tribunale, è interpretato dalla più recente giurisprudenza di legittimità nel senso che “l’art. 118, comma 3, d.lgs. 163/2006 – nella parte in cui è prevista la sospensione dei pagamenti della stazione appaltante in favore dell’appaltatore, in attesa delle fatture dei pagamenti di quest’ultimo al subappaltatore – si riferisce solo alle imprese in bonis e, dunque, non è applicabile nel caso in cui, con la dichiarazione di fallimento, il contratto di appalto si scioglie.
Ne consegue che, in caso di fallimento dell’appaltatore di opera pubblica, è esclusa l’applicabilità dell’istituto della prededuzione ex art. 111, comma 2, l. fall., ed il subappaltatore, ai fini del concorso, deve essere considerato un creditore concorsuale come tutti gli altri, nel rispetto della par condicio creditorum e dell’ordine delle cause di prelazione (cfr. Cass. 33350/2018 rv. 652256 e Cass. S.U. 5685/2020 rv. 657207)”.
Nel caso specie, il contratto di appalto prevedeva “«l’obbligo dell’appaltatore di trasmettere alla stazione appaltante le fatture quietanzate dei pagamenti effettuati al subappaltatore e, in mancanza, di sospendere il pagamento successivo in favore dell’appaltatore da parte della stazione appaltante», riproducendo, dunque, la previsione normativa di cui all’art. 118, comma 3, d.lgs. 163/2006, operante solo laddove l’appaltatore fosse rimasto in bonis”.
Tuttavia, “nell’alternativa fra pagamento diretto e indiretto dei subappaltatori, l’AUSL, dopo aver optato per il secondo, ha anche espressamente autorizzato l’inserimento nel contratto di subappalto della clausola avente ad oggetto il pagamento diretto al subappaltatore (…omissis…), aggiungendo, dunque, un ulteriore e più incisivo strumento di tutela del subappaltatore destinato ad operare anche in caso di fallimento dell’appaltatore e non limitato al meccanismo della sospensione del pagamento in favore dell’appaltatore”.
Il Tribunale ha dunque sottolineato che l’AUSL, nel caso di specie, ha ampliato la tutela del subappaltatore pur non essendovi tenuta secondo la normativa applicabile ratione temporis. La stazione appaltante ha infatti concesso al subappaltatore quella tutela che avrebbe dovuto concedergli se il bando di gara, invece che pubblicato sotto il vigore dell’art. 118, comma 3, d.lgs. 163/2006, fosse stato pubblicato nella vigenza dell’art. 105, comma 13, d.lgs. 50/2016 (in effetti già entrato in vigore al momento della conclusione del contratto di subappalto).
Chiarito ciò, il Tribunale ha anche ribadito che “in difetto di diversi accordi, il subappaltatore risponde della relativa esecuzione nei confronti del solo appaltatore e, correlativamente, solo verso quest’ultimo“; tuttavia, nel caso in esame, “la facoltà, esercitata dalla stazione appaltante (nella specie l’AUSL), di provvedere direttamente al pagamento del corrispettivo al subappaltatore configura un’autonoma obbligazione e costituisce un nuovo e diverso rapporto tra committente e subappaltatore (cfr. Cass. 1561/2010), che resta insensibile al successivo fallimento dell’appaltatore. Si tratta – ha affermato il Tribunale – di un’azione diretta che incide direttamente sul patrimonio di un terzo (il committente) e solo indirettamente su un credito del debitore fallito, dovendosi escludere che il conseguimento di una somma, che non fa parte del patrimonio del fallito, possa comportare un nocumento delle ragioni degli altri creditori dell’appaltatore”.
In ultima analisi, il Tribunale ha anche ritenuto infondata l’eccezione di inesigibilità del credito per mancanza di collaudo ed accettazione dell’opera, sollevata dalla stazione appaltante. Sul punto, il Tribunale ha osservato come “nel caso di specie, il credito del subappaltatore sia sorto e divenuto esigibile allorquando l’appaltatore era ancora in bonis: il contratto d’appalto, infatti, è stato risolto dall’AUSL in data 07/09/2018 e, dunque, il sopravvenuto fallimento dell’appaltatore, dichiarato in data 10/12/2018 e comunicato alla stazione appaltante in data 07/01/2019, non ha determinato lo scioglimento del vincolo contrattuale, già precedentemente venuto meno”.
Vero è che per consolidata giurisprudenza “il contratto d’appalto si considera concluso solo a seguito del collaudo che rappresenta l’unico atto attraverso il quale la P.A. può verificare se l’obbligazione dell’appaltatore sia stata eseguita a norma, e che è indispensabile ai fini dell’accettazione dell’opera da parte della stazione appaltante”.
Tuttavia, nel caso di specie, l’AUSL, dopo la procedura di risoluzione del contratto nei confronti dell’appaltatore e prima ancora di avere notizia del fallimento dell’appaltatore, ha redatto sia lo stato di consistenza lavori ai sensi del comma 1 dell’art. 136 d.lgs. 163/2006 sia, successivamente, il verbale di accertamento tecnico e contabile del collaudatore,ai sensi del successivo comma 2.
Quindi, in definitivo accoglimento delle ragioni del subappaltatore, il Tribunale ha in conclusione affermato che “l’AUSL, che già nel documento recante lo stato di consistenza lavori (a seguito del quale è avvenuta, a norma dell’art. 136, comma 1, d.lgs. 163/2006, la “presa in consegna” delle opere) non aveva sollevato contestazioni riguardo all’opera in questione, ha poi espressamente accettato le opere eseguite in subappalto (…) con il successivo verbale di accertamento tecnico e contabile laddove il collaudatore ha accertato che «la struttura prefabbricata in c.a. appare montata in conformità al progetto, con pilastri, travi, solai primo e secondo fuori terra», salvo rilevare che «mancano la copertura in legno, tutti i tamponamenti, le scale […] la soletta collaborante da gettare in opera all’estradosso dei solai; i getti integrativi sono necessari per solidarizzare il telaio con i solai», e cioè opere tutte escluse dal contratto di subappalto e, come tali, riferibili esclusivamente all’appaltatrice, la mancanza delle quali non consentiva però di procedere con il collaudo”.